Vorrei tanto scrivere che ΛLPINHEΛRT è stata freddo, neve in abbondanza, montagne sane e rigogliose; che è stato un inverno reale. Purtroppo, sarebbe solo un’illusione mistificatrice se azzardassi ad intraprendere un discorso di questo tipo.
L’inverno, e sono abbastanza certo di ciò che sto per dire, non esiste più e si appresta a divenire una mera immagine sbiadita di quello che è stato in passato. Temperature miti, addirittura calde, neve destinata a sciogliersi repentinamente e scarsità delle precipitazioni.
È sotto questi auspici che è nata ΛLPINHEΛRT: percorre una Montagna vera con i miei cani da slitta. Una montagna che si è dimostrata fin da subito aperta ad accoglierci, come lo è sempre la natura. E questo l’ho percepito molto forte e chiaramente, soprattutto in un momento storico in cui l’essere umano civile ha dimenticato cosa significhi il valore dell’accoglienza.
ΛLPINHEΛRT è stata in primis un incontro: con la montagna stessa e con chi dalla montagna ha saputo trarre giovamento ed insegnamenti, nonostante – paradossalmente – la montagna non insegni nulla di particolare. Ho incontrato persone che hanno un legame autentico con le terre alte: dagli esploratori Alex Bellini e Michele Pontrandolfo con i quali ho approfondito il senso dell’esplorare, ad artisti come Livio Ceschin e l’importanza attribuita all’immaginazione e all’ispirazione in natura; da un grande viaggiatore come Dario Valsesia con il suo viscerale amore per l’avventura e il saper trarre stupore da paesaggi freddi e isolati, a due persone, Alessandra ed Erik di Oak Church Ranch, che dalla natura montana hanno saputo lasciarsi ispirare per costruire il loro progetto educativo e pedagogico lontano dalle logiche ormai stantie di una Civiltà ogni giorno più opprimente. L’incontro genera arricchimento, crescita e cambiamento dei punti di vista. L’incontro con l’altro mette in dubbio i nostri personali capisaldi esistenziali, li rimodella e riassesta su nuovi centri di gravità permanente. In un’epoca come l’attuale, dove la gioia dell’incontro sta svanendo esattamente come la neve nell’inverno alpino, esso rappresenta un punto fondamentale per lo sviluppo della coscienza.

I cani sono stati i miei compagni di viaggio, amici fedeli che hanno assecondato anche il più tortuoso e difficile dei sentieri; sempre fieri, sicuri, anche quando sotto i pattini della slitta la neve mancava portando alla luce asfalto o sassi quasi come se oggi, su queste nostre Alpi in fase di riadattamento e riassestamento, praticare la mia idea di mushing e di esplorazione sia più simile ad una attività paleontologica: con la differenza che dalla neve disciolta emerge non un passato glorioso ma un futuro incerto di grandi mutamenti.

Le poche notti trascorse in tenda durante ΛLPINHEΛRT mi hanno ancora una volta permesso di riflettere su quanto “troppo” ci sia nelle nostre vite da addomesticati civili. Inseguiamo la felicità evanescente dietro il superfluo senza accorgerci che la contentezza per la vita risiede nella consapevolezza del poco e del piccolo. E la montagna potrebbe benissimo tornare ad essere un simbolo di tutto questo: araldico emblema della fatica e del piacere di frequentarne i pendii solo per il gusto di essere lì. Che è un po’ uno dei significati che do al mio essere esploratore: mi piace stare nei luoghi che percorro per il godimento che il mio spirito e il mio corpo provano nello stare esattamente lì. La montagna, ed è uno dei pensieri costanti che è emerso percorrendola in questa “esplorazione atipica” che è stata ΛLPINHEΛRT, è esattamente come deve essere ed ha già tutto: cosa aspettiamo ad imparare a trarre giovamento di Lei per quello che è? Invece, inventiamo e ci inventiamo attrazioni e attrattive che richiamino turismo, sia esso di massa o sostenibile. Recentemente ci si prodiga nel provare ad escogitare un modo per reinventare l’esperienza in montagna lontana da logiche economiche di massa, verso un’economia più sostenibile. Ma non abbiamo ancora capito? È ugualmente una strada fallimentare e pericolosa poiché ricerca nella montagna un paesaggio che deve fornire delle attrattive “democratiche” e “sostenibili”: errore madornale. Ma d’altronde, queste, sono proposte che arrivano da quanti con la montagna hanno un rapporto di divertissement. ΛLPINHEΛRT ha saputo farmi provare a vedere come le terre alte siano belle di per sé, vadano scoperte, raggiunte e anche lasciate lì, inaccessibili. La Civilizzazione sta continuando a percorrere una via di imprigionamento degli spazi montani travestendola da “green”: ma questo è un altro discorso…
ΛLPINHEΛRT è la bellezza della montagna. Una bellezza autentica, spontanea, senza fronzoli. Una bellezza presente che penetra nello sguardo dell’attento camminatore. La montagna è bella, vasta, immensa anche nella sua natura infinitesimamente piccola; ti abbraccia e ti culla sotto l’esiguo manto invernale. In qualche modo, ti rassicura: essa sta cambiando e si sta già adattando al disfacimento che sta subendo ad opera della Civiltà. I suoi abitanti sono lì, sentinelle, vigili come le civette: siano loro piante, sassi, animali o esseri umani. Per provare a comprenderla occorre spogliarsi della città e lasciarsi invadere. Perché l’essere umano non capisce? Perché si è così tanto distaccato dal bello che oggi, nel 2023, fatica addirittura a riconoscere, con il danno che procura nel provare a ricrearlo?
Eppure, un presente e un futuro altrettanto importante attendono la montagna: essa è al di sopra di ogni geopolitico cambiamento così tanto “televisivamente” invocato. Essa si riadatterà da sé e continuerà ad essere terra florida e ricca: imponente. La montagna è l’essenza stessa dell’immutabilità dell’esistenza: tutto cambia affinché nulla cambi, ma tutto svanisce nell’impermanenza delle cose. Nel mio piccolo viaggio invernale a capitoli, che ho provato ad illustrare – divertendomi – anche attraverso dei miei acquerelli, ho forse compreso che la montagna vuole tornare ad essere libera e non più quel parco giochi per le attività umane, siano esse green o meno. La montagna vuole semplicemente tornare ad essere Montagna.





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