
In dieci giorni di autosufficienza, in una zona oscillante tra i 1800 e i 2100 mt di quota sulle Alpi Orientali, ho imparato a conoscere e soprattutto a rispettare delle montagne maestose. Prepararsi al meglio per queste esperienze è importante: uscite su terra e su neve, stimoli agli eventuali imprevisti, materiali ed attrezzature. In ogni esplorazione, il fattore mentale è fondamentale: sia per i cani che per il sottoscritto è un aspetto che cerco di curare molto.


Le previsioni per i primi giorni non erano particolarmente favorevoli: forte vento, nevicate e freddo sono state i nostri compagni di viaggio. Così, svegliarsi la mattina e vedere fuori dalla tenda la slitta coperta dalla neve, ogni segno di tracce ed eventuali sentieri svaniti e completamente ricoperti da decine e decine di centimetri di neve fresca stava diventando un’abitudine. Le temperature, giorno dopo giorno, si sono fatte più rigide, soprattutto con l’attenuarsi del brutto tempo e l’avvicinarsi di giornate limpide e soleggiate: dai -10°C ai -23°C (quest’ultima registrata in tre notti/mattine). Da un punto di vista tecnico è stata un’occasione per mettere in pratica l’esperienza già accumulata e apprendere nuove informazioni su come poter migliorare attrezzatura e preparazione. Le difficoltà, non solo climatiche, impongono una grande umiltà di ascolto dell’altro – una persona, un animale, un elemento naturale – per essere accolte e superate. L’attenzione nel preparare i pasti, con fornello per sciogliere la neve e scaldare crocchette e cibo disidratato, è divenuto un rito che aveva in sé degli elementi laicamente sacri. La tenda, moderna Jaranga, è stata il nostro riparo: mentre scrivevo alcune note sul mio libretto di appunti, i cani sdraiati ai lati del sacco a pelo cercavano di tanto in tanto una carezza.

Non so di preciso quanti chilometri abbiamo percorso; quello che posso dire è che la qualità del dislivello è stata notevole, muovendoci e facendo ogni giorno, racchiusi in pochi chilometri, tra dislivelli positivi e negativi, centinaia di metri. Sicuramente le giornate trascorse in quota, nel cuore pulsante del bianco, sono quelle che più hanno rappresentato un valore significante. Sono i giorni in cui ho ripensato alle difficoltà psicologiche e fisiche (considerando anche i 100 kg di peso del toboga, la nostra slitta) per raggiungere, nella neve alta, quelle cime. Il percorso è stato catartico: dall’abisso del non vedere nulla se non per un raggio di poche decine di metri, alla luce del giorno che prende forma nella tenda all’alba.
Simbolicamente, come ho detto sin dall’annuncio di questa esperienza, è stata un’esplorazione che si può definire della speranza, nella misura in cui le difficoltà che circondano l’esistere quotidiano di ciascuno di noi debbano sempre essere affrontate con fermezza, serenità e lucidità di coscienza. La speranza in un sogno o progetto da realizzare, è questa “alba imago” (immagine/sogno bianco) che deve continuare ad illuminare i nostri orizzonti. Viviamo in tempi difficili, e in un certo senso oscuri, ma queste luci, che proiettano la fiamma del nostro spirito verso linee verticali ascensionali, debbono trasmetterci la forza per andare avanti; esattamente come l’immagine di quelle cime che, anche se non visibili, percepivamo essere innanzi a noi a darci lo slancio nel proseguire attraverso le difficoltà dei primi giorni. In vetta, il sorprendente regalo immateriale di un’alba: un calore emozionale in quelle fredde giornate.

Adi, il mio piccolo e tenace leader, non ha mai mollato un giorno mantenendo vivo l’interesse di quel desire to run, tipico dei cani da slitta, in tutta la mia ristretta muta. Tulku, fratello di Adi, con la sua spensierata esuberanza e azzardata ricerca di quell’allungo che non sempre arrivava, movimentava ogni singolo chilometro. Ciuk, che nella neve è particolarmente a suo agio, ha rappresentato un ‘motore’ costante e potente, soprattutto sulle pendenze più impegnative. Indi si fa valere: non è certamente il mio miglior cane da slitta, ma sa di essere il mio migliore amico. Questa sua consapevolezza fa sì che inserisca in ogni sua azione di traino, oltre alla notevole forza fisica, anche tanto ‘cuore’.

Tanti sono stati, nelle sere trascorse in tenda con i miei cani, o nelle pause pomeridiane passate a rifocillarci, le riflessioni sull’assurdo concetto di superamento del limite del proprio sé imposto dalla società mondana; sulla montagna e il suo rapporto/scontro con un turismo che vuole essere sostenibile risultando invece sempre più invasivo e traumatizzante. Il rapporto uomo-natura, che forse non è mai stato paradossalmente così forte come in questo secolo, ha portato l’uomo stesso a rappresentare una minaccia per l’ambiente: mi riferisco alla costante insistenza nella ricerca di una connessione con la natura, quando sarebbe viceversa opportuno dis-connettersi da essa e rimettersi consapevolmente in ascolto. Di tutto ciò torneremo certamente a parlare e scrivere più approfonditamente nelle prossime settimane.
Alba Imago si è fisicamente conclusa eppure, proprio per il suo significato e per ciò che simboleggia, almeno per me, è appena incominciata. Alba Imago è nel nostro quotidiano, poiché costituisce quella speranza nei sogni che alimenta le nostre giornate, proprio come la luce bianca in cima alle magnifiche vette dei candidi monti esplorati.






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