IL SUONO DEL FREDDO 2019


Il suono è qualcosa che si percepisce, qualche cosa che ascoltiamo, che sentiamo. Lo sentiamo in un determinato momento e poi svanisce: ritornerà? Il suono, qualunque esso sia, è labile, delicato: ora c’è, dopo non ne abbiamo certezza. E il freddo, in questi anni, è divenuto sempre più simile ad un suono, piuttosto che ad una sensazione ‘carnale’ e materica costante e sicura: in questo inverno ce ne siamo resi conto”. Ho ripensato molto, in questi giorni, a quanto scritto prima di partire per questa solitaria in Alta Valle Camonica. Cosa è stato il freddo? Un compagno di viaggio altalenante, come un suono si è presentato puntuale alla sera e al mattino, e alla luce del sole svaniva. Le temperature oscillavano tra i -1° e  i -6°C di giorno e i -11° e -15°C la notte. Il giovedì è stata una giornata meravigliosa: una mattinata dal cielo azzurro, poco nuvoloso e dal tepore tipico del fine inverno anziché dei cosiddetti “giorni della merla”. La prima neve è iniziata a cadere nel pomeriggio. 

Lontano dallo stress delle competizioni, siamo partiti con tranquillità e serenità: di buon passo. Preparare mentalmente Indi e Ciuk a questa escursione è stato importante, poiché non è stato semplice lavorare trainando una slitta con in sacca il necessario: dalla tenda al fornellino, dalle provviste a qualche indumento di riserva, lo zaino e attrezzatura varia per far fronte ad ogni evenienza; considerando inoltre che lungo il tragitto si è presentata la difficoltà del ghiaccio e di un grosso quantitativo di neve fresca. Ma ciò che mi rende soddisfatto di loro è averli visti fare i Siberian Husky, cani da slitta felici e con quella foga, quel desire to run, che li ha resi dei lavoratori eccezionali nel corso dei secoli passati.

Valorizzare la natura e l’ambiente può essere fatto anche a piccole dosi, con azioni quotidiane in base alla capacità e livello di coscienza di ciascuno. Perché è dal piccolo che può venire il miglioramento maggiore. E’ da una parte che si può arrivare al Tutto. Abbiamo percorso 35 km (chilometro più e chilometro meno) nella più totale solitudine: gli unici discorsi sensati sono stati quelli che ho fatto con Indi e Ciuk. Gli scoiattoli che saltavano da un ramo all’altro, qualche volatile nel cielo e impronte di cervi e altri animali sulla neve. Per il resto siamo stati soli, in un silenzio affascinante: mi è capitato spesso di fermare la slitta e ascoltare il suono provenire dal lato più profondo e buio del bosco. Che meraviglia la montagna. E ti accorgi della sua fragilità: di come sia un ecosistema che si basa su equilibri prestabiliti, ma sensibili e delicati: dove noi, con la nostra umanità, siamo ospitati dalla sua benevolenza. E come viandanti schivi e silenziosi ci siamo permessi di vivere due giorni su delle montagne che abbiamo imparato a conoscere, amare, rispettare e temere. 

Frequentare la montagna in maniera consapevole è sì essere preparati e attrezzati, ma soprattutto lasciarsi accogliere da ciò che si incontra lungo i suoi sentieri; aprirsi alla montagna stessa. Vivere la montagna per ciò che è è la prima forma di valorizzazione che l’individuo umano può operare: viverla nella fatica, nelle asperità, nella salita. 

Prima di arrivare nel punto stabilito a piantare la tenda, ci siamo spesso imbattuti nel ghiaccio: un ghiaccio nascosto dalla neve. Così tutto si è fatto ancor più lento e precario, coi cani che tiravano la slitta e io che, cercando di mantenere l’equilibrio, davo loro una mano. Il nostro piccolo campo base lo abbiamo fatto nei pressi di un altopiano: montata la tenda e rifocillato velocemente, mi sono goduto i miei cani sino al sopraggiungere della copiosa nevicata prevista, che ci ha piacevolmente costretti a ripararci in tenda, sdraiati e addossati l’uno all’altro! E non mi stancherò mai di ripeterlo: dormire in tenda coi propri cani ha un qualcosa di terapeutico. 

La mattina seguente trenta centimetri abbondanti di neve fresca intorno a noi, e continuava a cadere copiosa. Il paesaggio si confondeva: il cielo e la terra tutt’uno a tinte bianche e grigie. Trovare la “traccia” della strada, non battuta né calpestata, non era semplice: sapevo che era lì, ma più di una volta mi sono trovato a sprofondare di colpo nella neve che si era accumulata lungo i pendii. La neve si alzava e la zona percorsa, battuta dal vento, formava tratti lunghi diverse centinaia di metri dove la neve fresca arrivava ad essere alta anche settanta e ottanta centimetri. E’ stato in quel momento che ho ancora una volta compreso la forza, la resistenza e la tenacia dei Siberian Husky: non ho dovuto insistere coi comandi, né ripetere nulla. Tiravano e tiravano da muovere e disincagliare la slitta nella troppa neve. Più volte, anziché spingere da dietro mi sono trovato a tirare con loro la slitta attraverso la linea di sicurezza agganciata al moschettone di traino. Ma la forza che hanno messo Indi e Ciuk è stata super! Senza di loro si muoveva solo di pochi centimetri.  La sensazione di sapere che siamo stati i primi, in quei giorni, in quella mattina, a passare su quella neve, in quei boschi, è indescrivibile: quasi d’altri tempi. Appartenente ad un’epoca remota e lontana, dove il lavoro sinergico e simbiontico tra cani e uomo era qualche cosa di spirituale, oltre che fisico e materiale. E ancora di più mi ritengo soddisfatto, perché mentalmente non hanno mai mollato, mai ceduto. La montagna, in inverno, è anche questo. 

La discesa è andata alla grande, molti tornanti per più di 600 metri di dislivello, fino alla piazza del paese di Vezza d’Oglio. Un’esperienza che ci ha permesso di crescere ulteriormente, di verificare errori e sbagli, di comprendere cosa della nostra preparazione è stato utile e corretto e cosa meno. Sicuramente nulla deve essere improvvisato: che sia una traversata, un’escursione, un’esplorazione o una semplice camminata. Sempre! Fa parte dell’essere frequentatori di montagna consapevoli.

Ho trovato delle montagne sane, speranzose e rigogliose di vita. Montagne che hanno però bisogno di una costante tutela e controllo, di una presenza umana disinteressata. Senza la natura l’uomo non è nulla e il ripristino rivoluzionario di uno stile di vita più consono ai ritmi della natura è l’unica salvezza: per l’ambiente sicuramente, ma a maggior ragione per l’uomo tutto. In questi due giorni abbiamo vissuto ai ritmi scanditi dalla natura; dai suoi freddi, dalle sue nevi e dai suoi venti. L’essenziale non è privazione; il poco è molto e una ricchezza infinita. Lì non avevamo bisogno di orpelli, di superfluo, di un di più che frequentemente cerca di invadere le nostre vite: lì avevamo quel poco necessario per vivre eppure mi sono sentito ricchissimo!

Spesso, a vedere tutt’intorno a noi il grande mantello bianco che ricopriva ogni cosa mi sono domandato il perché di tutto ciò, chi è l’uomo, quale è il suo viaggio, la sua destinazione…

Non sono un musher né un avventuriero

né un escursionista né un esploratore.

Non sono un pellegrino né un camminatore,

né un leader né un eroe.

Perché sono solo un essere umano.

Nota a margine

Poco prima di scendere c’è stato un attimo in cui mi sono fermato, sono andato a ringraziare i miei cani, Indi e Ciuk: li ho guardati e abbracciati. Questa è stata l’ultima solitaria insieme. L’ultima volta di noi tre insieme, da soli. Dalla prossima stagione ci saranno anche Adi e Tulku: e si aprirà un nuovo entusiasmante capitolo di tutto il nostro team. Indi e Ciuk: vi voglio bene, amici miei!


2 risposte a “IL SUONO DEL FREDDO 2019”

  1. Bellissimo articolo, ottime foto e fantastica avventura!
    Avanti così!

    1. Andrea, grazie di cuore. Sono contento che ti piaccia. A presto.

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